sabato 26 maggio 2012

Il pantheon maya: struttura e problemi


I Maya erano di religione politeista, possedevano una miriade di divinità, il cui numero è tutt’ora imprecisato. Degli dei maya non conosciamo tutti i nomi.
Ernest Forstemman,1 il regio bibliotecario di Dresda che ne operò una prima sistematica classificazione in un testo pubblicato nel 1897, sentì addirittura la necessità di classificarli con le lettere dell’ alfabeto, e cioè come “dio A, dio B…”. Oggi molti nomi sono stati tradotti, ma molte sono ancora le cose da comprendere. Alcuni studiosi contano un centinaio di dei, altri circa trenta, e ciò perché, scrive Martin Brennan,2

“i pantheon Mesoamericani sono complessi enormi, ove le varie divinità possono avere molteplici attributi, ed alcune di esse rappresentano addirittura certuni aspetti o diverse sembianze delle altre ”.

A tal proposito afferma Eric Thompson:
“Gli dei maya sono inquadrati indiscriminatamente in più categorie, che si possono accavallare o anche contrastare: per esempio un dio può essere [nel contempo]3 tra quelli del cielo o tra quelli degli inferi”.4

Peter Schimidt5 sottolinea che ciascuna di queste divinità poteva manifestarsi in forme diverse e con differenti nomi, in base ai propri attributi e secondo le circostanze. Per i Maya non esistono esseri immutabili, tutto è in costante movimento e, quindi, in metamorfosi. Di conseguenza gli dei, nonché i loro stessi influssi, sono costantemente soggetti a cambiamenti. Per tale motivo ogni divinità poteva essere celeste e terrestre, benefica e malevola, maschile e femminile, energia di vita o di morte. Michael Coe spiega questa molteplicità teogonica sostenendo che:

“è frutto del fatto che gli dei avevano molti aspetti[…],riflesso questo del principio mesoamericano del dualismo, vale a dire l’ unità di principi opposti[…]”.6

Gli dei maya, precis Victor von Hagen, “parvero innumerevoli agli spagnoli, anche perché quasi tutti si presentano sotto molti aspetti diversi”,7 pur non cambiando identità.
Siamo perciò della stessa opinione di Pietro Bandini, che ritiene che la risposta di quale sia il numero delle divinità maya dipenda da

“come decidiamo di considerare l’ immagine degli dei: se, in base a caratteristiche ricorrenti (nonostante enormi differenze in altri dettagli), le classifichiamo come un’ unica divinità, o se invece, con un atteggiamento –atomistico-, riteniamo che differenze insignificanti vanno riferite a dei completamenti diversi ”.8

Gli dei venivano rappresentati dagli artisti maya coi tratti, altamente stilizzati, di svariati animali ed elementi vegetali, talvolta combinati con forme umane, ma anche totalmente antropomorfizzati come nel caso del dio-mais, rappresentato come un giovinetto. Gli studiosi sono ampiamente d’accordo rispetto a due caratteristiche che permettono un’ approssimativa suddivisione del mondo divino. Esse sono:
  1. il sesso degli dei;
  2. l’appartenenza a una delle due generazioni del pantheon maya.9
La percentuale delle divinità femminili è, nei Maya, particolarmente bassa: solo due dee sono infatti la controparte di una vasta schiera di divinità maschili. Si tratta della giovane dea della luna, madre degli eroi divini Ixbalanque e Hunahpù, e di un’altra dea della luna, progenitrice, Ixcumane.
Dall’ iconografia maya si può chiaramente capire quali sono le divinità appartenenti alla vecchia generazione e quali alla nuova, in quanto i vecchi dei vengono rappresentati canonicamente con alcune caratteristiche peculiari, che sono: speciali capigliature, tratteggiate con semicerchi e punti, spesso adorne di gioielli; occhiaie stilizzate a forma di u; grandi nasi, guance scavate e spesso senza denti. La nuova generazione di dei viene invece rappresentata con elementi conformi ai canoni di bellezza maya: occhi a mandorla, fronte alta, naso lungo e grande.10
Eric Thompson11 afferma che le più importanti divinità erano quelle del sole e della luna, sulle quali i Maya avevano costruito una serie di leggende, le quali spesso entrano in contraddizioni le une con le altre. Lo studioso ne riferisce una riportata anche da Guy Annequin. In essa, si narra che il sole e la luna erano stati i primi due coniugi, e, prima di trasferirsi in cielo, erano stati i primi abitanti della terra. Il sole era il patrono della musica, della poesia e della caccia; mentre la luna era la dea della tessitura e della fertilità. Spesso litigavano per colpa della infedeltà della luna. Per tale motivo il sole, infuriato, le orbò un occhio: fatto che spiega la minore luminosità della luna.
Tutt’ora questa credenza è molto diffusa nell’America centrale, talché le eclissi vengono viste come il risultato delle loro liti.
Tutti gli studiosi si trovano d’accordo sul fatto che gran parte delle divinità maya venivano concepite a gruppi di quattro, ciascuno connesso ad un punto cardinale e al suo relativo colore e ad un angolo del cielo. Una sola divinità con quattro aspetti, “un po’ come la Trinità cristiana con un membro in più”, afferma Eric Thompson.12 Le divinità inoltre, come detto poche pagine fa, avevano un duplice aspetto, buono o cattivo. Un esempio ci viene dato da una delle divinità più importanti: i Chaci, che se anche portavano la pioggia, linfa essenziale in una civiltà agricola come quella mesoamericana, poteva portare anche la siccità o le tempeste e la grandine. Per tale motivo, molte divinità venivano rappresentate spesso con gli attributi della morte come il teschio, al posto delle normali sembianze umane. Il dio sole, che ogni notte risiedeva negli inferi, divenendo un signore della notte, al mattino portava i simboli della morte, iconograficamente simboleggiato con un segno somigliante al nostro %, e prendeva le sembianze del giaguaro e il colore nero, ossia il colore della morte. Veniva anche rappresentato con le foglie di granoturco che rappresentavano sia la faccia del mondo e della vita sia la faccia degli inferi. Il sole, in altre parole, riassumeva i due principi opposti di vita-morte. Ogni mattina, con il suo ri-sorgere quotidiano, diveniva principio di vita, e i suoi raggi permettevano la maturazione dei prodotti della natura. Di notte si inabissava negli Inferi, che attraversava per riemergerne al mattino. Durante questo tragitto diveniva uno dei signori della morte.
Una delle poche divinità rappresentate sempre con gli attributi propri della vita, era il dio del mais, il quale era sempre ben accetto, giacché dava loro la pianta di maggior consumo alimentare. Nelle iconografie viene solitamente rappresentato come un giovane dagli occhi a mandorla, tratteggiato con tutti i canoni più caratteristici della bellezza maya.
Gli studiosi di oggi raggruppano le divinità, al fine di rendere più facile la loro classificazione, in famiglie celesti, terrestri e sotterranee.13 I Maya contavano tredici divinità per il cielo (una per ogni strato), sette per la terra, e nove per gli inferi (una per ogni girone). Sembra che i Maya, al contrario dei Messicani, non avessero il culto del dio del fuoco, che si ritrova, tuttavia nei Lacandoni odierni. I 20 giorni del mese maya erano anch’essi deificati, e vi si indirizzavano delle preghiere. Comunque, essi sono, da identificare come ulteriori aspetti del dio del sole, della luna, del granoturco, della morte, e del dio giaguaro. Anche i numeri erano delle divinità, da identificare come altri aspetti delle tredici divinità del cielo, ma forse anche come altri attributi dei signori del giorno.
Oltre a tali divinità, ve ne sono altre la cui classificazione risulta persino più complessa: ci riferiamo alle divinità dei vari mestieri: il commercio, il mestiere dell’ apicoltore, quello del tatuatatore.
I Maya condividevano con tutta la mesoamerica il culto di Xipe Totec14. Questo dio indossa una pelle umana tagliata ai polsi e alle caviglia per mostrare le mani e i piedi e una maschera di pelle umana sul viso. È un dio della vegetazione, che presiede alcuni riti di scorticamento di notevole importanza. Tra l’altro, esso personifica un tipo di sacrificio molto in uso presso i Maya per la fertilità.
I Maya dello Yucatan credevano in un dio creatore, il cui nome è Hunab Ku (Hunab=unico Ku= dio).15 Esso si rivelò un deus otiosus, il cui posto venne preso dal figlio Itzamna, che ne rivestì tutti i compiti. Hunab Ku non venne mai rappresentato nell’ arte, forse perché inconoscibile e trascendente. Il creatore Itzamna è, scrive Pietro Bandini,

“uno degli dei più importanti della vecchia generazione. Alcuni studiosi pensano che egli rappresenti solo una delle forme del vecchio dio del sole Kinich Ahau. Altri ritengono che abbia insegnato agli uomini l’arte della scrittura; ciò contraddice sicuramente la descrizione del Popol Vuh, secondo cui furono i fratelli traditori degli eroi gemelli ad inventare le arti più importanti ”.16

Con l’invasione dei toltechi si diffuse il culto di Quetzalcloat, il serpente piumato, che assolse parte dei compiti di Itzamna, e, in quanto eroe divinizzato, divenne patrono della scienza e delle arti. Afferma Eric Thompson a proposito di questa divinità:

“Kukulcan (come sappiamo che si chiamava Quetzalcoatl nello Yucatan) era il patrono degli invasori messicani e, come tale, non dovette fare molta presa nell’animo dei Maya. Ha un’enorme importanza nell’arte del periodo messicano, ma la popolazione maya lo sentiva certamente come un intruso nel suo sistema religioso. Il suo passaggio fu effimero, come dimostra il fatto che il suo nome non si trova tra i Maya attuali”.17

Le divinità venivano spesso associate a degli animali, e ciò non a caso, giacché questi divenivano metafora di un compito del dio. Le rane venivano connesse ai Chaci, poiché tali rettili preannunciano con il loro gracidare l’arrivo della pioggia. Questi anfibi, chiamati Uo, si credeva che fossero loro inservienti e musicanti.18
Il serpente, oltre ad essere stato uno degli aspetti di Itzamna, simbolizzava anche la fertilità della terra. Questo rettile, per i Maya, risiedeva nei quattro angoli del cielo; ed era simbolo della metamorfosi, del cambiamento, e dell’ evoluzione e dell’innalzamento del computo. Inoltre il serpente era per i mesoamericani la forza motrice del tempo, e per tale motivo veniva associato al numero zero e alla spirale. Il popolo maya credeva che se una donna sognasse un serpente era segno che stesse per rimanere incinta. Culto proveniente dal credo olmeco, il suo significato mistico è da collegare al fatto che si scoprì che la sua metamorfosi poteva essere la base per misurare il passare del tempo e quindi il movimento del sole; la sua muta infatti corrispondeva al cambio dei cieli e delle stagioni.
In america si trova un esemplare di serpente che prende il nome di crotalus durissimus durissimus.19 Tale rettile, informa Adrian Gilbert, cambia pelle una sola volta all’anno, e cioè a Luglio, nel periodo in cui, nello Yucatan, il sole raggiunge lo zenit per la seconda volta nell’anno. Esiste quindi una corrispondenza naturale tra il sole e il serpente, i quali ogni anno si rinnovano insieme.20 La simbologia mistica connessa al serpente portava i Maya a conferire ai loro figli la testa di serpente, il polcan. A tal proposito Adrian Gilbert afferma che non si può pensare che i genitori praticassero l’appiattimento del cranio dei figli solo a scopo estetico. Questo processo era infatti molto doloroso e poteva sfociare nella morte dell’infante. Gilbert, pertanto, spiega tale uso col fatto che in questo modo i bimbi assumevano il cranio a forma di serpente e conseguentemente entravano a fare parte del popolo del serpente. In altre parole era un rito iniziatico.21
Il serpente si connetteva alla rigenerazionek, in quanto sacrificando parte di se stesso (la sua pelle), riesce a generarne una seconda. Proprio per questa sua capacità autoimmolativa veniva strettamente associato ai salassi che i Maya praticavano tagliuzzandosi parti del corpo.
Gli indios, grazie allo spargimento di sangue a seguito della mortificazione delle proprie carni, raggiungevano la visione mistica del serpente archetipale, dalle cui fauci fuoriusciva il viso dell’antenato divinizzato. Si tratta di associazioni elementari secondo le quali come il serpente si rigenera sacrificando parte di se stesso, allo stesso modo l’autosacrificio permetteva al cosmo e alle divinità di rivitalizzarsi.
Vi era anche il culto del cervo, che, come scrive Martin Brennan,22 era “comunemente associato ai riti di pubertà”, segnando il passaggio all’età adulta, e ricoprente lo stesso ruolo in tutta la parte centrale dell’ america. Paul Arnold23 scrive che il cervo simbolizza la speranza di progenitura, e il suo sacrificio, serviva a conciliarsi i favori della dea portatrice di fecondità. Questo mammifero, pertanto, concilia il mondo terrestre con il mondo spirituale permettendo la rigenerazione della materialità tramite le rinascite.
Il giaguaro, culto anch’ esso di origine olmeca, riveste un ruolo molto importante, in quanto, asserisce Juan,24 odierno sciamano dello Yucatan intervistato dal dott. Adriano Forgione,

“Le fauci del giaguaro erano rappresentazione del potere della terra, la porta di passaggio tra il mondo e l’ inframondo, il ponte tra la vita e la morte. Il giaguaro era la rappresentazione della terra e le fauci della terra custodivano l'ovest come guardiane del sole. Esse erano le porte di passaggio dell’ astro nel seno della terra. Quando il sole si trovava simbolicamente nello stomaco del giaguaro il sole era sorvegliato dai serpenti cosmici. Per questo la maschera giaguaro si unisce al serpente, entrambe rappresentano la congiuntura dei due livelli, il celeste e il terreno. È la dualità che ritrova l’ unità”.

Il felino è una delle rappresentazioni della terra e della sua potenza di fertilità. Gli olmechi rappresentarono spesso le entrate delle caverne con le fauci stilizzate dello giaguaro. Nelle pareti del cunicolo interno si aveva invece dipinto la dea-madre.25 Essa simboleggia la rigenerazione della terra e la sua associazione con il felino non è casuale, in quanto entrambi si connettono alle potenze vitali del cosmo. Nelle iconografie maya il dio sole è rappresentato come un giaguaro. Il sole e il felino sono sintesi della mistica forza della terra, dal cui seno nasce e muore la vita. L’astro, con il suo calore, permette la maturazione del mais, ma un caldo troppo rigido può bruciare il raccolto. Ecco quindi che anche il sole può portare la morte e per tale motivo durante la notte diviene un signore degli inferi e si carica di tutti gli aspetti della caducità materiale e spirituale (ricordiamo che le fauci spalancate di questo mammifero erano iconograficamente l’entrata a Xibalbà, il mondo degli inferi).
Il serpente veniva rappresentato con le piume di quetzal. Questo uccello, elevandosi con le sue ali in alto, simboleggiava la forza creativa del cielo. Il serpente piumato diveniva pertanto la sintesi perfetta di tutti i potenti vettori generatori del cosmo. Il serpente, animale terrestre, unito al quetzal, animale celeste, riunisce le cause vitali del pianeta.
Tutto queste associazioni arcaiche trovano personificazione in Kukulcan, divinità dalla potenza enorme e il cui culto presso i Maya post- conquista messicana e i mesoamericani fu fortissimo. Divinità che nel mondo maya veniva personificato dallo sciamano in estasi, e che in questa occasione rivelava il suo vero e più profondo significato, che andava al di là delle mere testimonianze storiche. Kukulcan indicava tutto ciò che un uomo avrebbe dovuto aspirare a diventare, e cioè l’illuminazione conseguente ad una vita che riescisse a conciliare i due aspetti della natura, quello spirituale (le piume) e quello materiale (il rettile). Presso i mesoamericani il serpente oltre a simboleggiare il percorso del sole, rappresentava la ricerca dell’io interiore.26
Il mondo che, secondo i Maya, venne distrutto e ricostruito per ben quattro volte,27 era considerato indissolubilmente legato a quello spirituale, per tale motivi grande reverenza era mostrato dal popolo agli dei, a cui non dovevano mai mancare sacrifici e devozione. Mercedes de la Garza28 scrive che:

“secondo i Maya, queste entità soprannaturali avevano creato l’ universo con una finalità precisa: perpetuare la propria esistenza attraverso un essere che differisce dagli altri grazie alla consapevolezza di sé, cioè l’ uomo, convertito in tal modo in motore e fulcro del cosmo[…], [perciò] nonostante le deità maya fossero, sotto molti aspetti superiori all’ uomo e possedessero la capacità di creare, erano state concepite come entità imperfette che nascevano e morivano, quindi bisognose di essere alimentate per sopravvivere”.

A seguito di tale concezione e per il legame tra il cielo e la terra il sacrificio acquisiva un forte significato, un’importanza fondamentale in quanto permetteva di fare andare avanti le ruote del tempo e del calendario, infatti, David Webster scrive:

“uomini, animali, piante e perfino dei erano soggetti a cicli di morte e di rinascita. Era compito degli uomini eseguire riti e fare sacrifici per ripagare il loro debito con gli dei e con gli antenati, nutrirli ed evitare il caos e i disastri assicurando equilibrio ed ordine in tutte le cose”.29

Le conseguenze di una mancata devozione potevano essere disastrose e l’ira degli dei implacabile. L’uomo maya doveva assolvere i suoi doveri se non voleva scomparire come era successo già precedentemente con le tre distruzioni.
Annoveriamo, di seguito, alcune delle divinità maya.
1 Pietro Bandini, op. cit, pag. 45
2 Martin Brennan, op. cit., pag. 88
3 Nota dell’autore.
4 Eric Thompson, op. cit., pag. 286-287.
5 Cfr. Peter Schmidt-Mercedes de la Garza-Enrique Nalda, I Maya, Bompiani, Settembre 1998, pag. 235.
6 Michael Coe ,op. cit., pag. 169.
7 Victor von Hagen, op. cit., pag. 165.
8 Pietro Bandini, op. cit., pag. 46.
9 Vedremo parlando più specificatamente della mitologia che vi sono due generazioni di divinità. Una più vecchia che viene depauperata da una più giovane.
10 Cfr. Pietro Bandini, op. cit., pagg. 46-47.
11 Cfr. Eric Thompson, op. cit ., pagg. 279-280.
12 Eric Thompson, op. cit., pag. 279.
13 Cfr. Guy Annequin, op. cit., pag.166.
14 Nome azteco della divinità. Quello maya non ci è noto.
15 Oggi alcuni studiosi non si trovano più d’accordo con questa affermazione.
16 Pietro Bandini, op. cit., pag. 157.
17 Eric Thompson, op. cit., pag. 281.
18 A tal proposito i maya raccontavano di una leggenda che viene menzionata da Eric Thompson (Cfr. ibidem). Questa parla di un ragazzo maleducato che, assunto dai chac come domestico nella loro dimora celeste, avendo l’ ordine di spazzare i pavimenti, spazzò via anche le rane ignorando le loro furiose proteste. Infine rischiò di inondare il mondo infatti impossessatosi di una borraccia di un chac, ne stappò il tappo e versò tanta acqua da provocare quasi l’irreparabile.
19 Cfr. Adrian Gilbert-Maurice M. Cotterell, op. cit., pag.146.
20 Cfr. Ibidem.
21 Cfr. Ibidem, pag. 147.
22 Martin Brennan, op. cit., pag. 255.
23 Cfr. Paul Arnold, op. cit., pag. 95.
24 “Hera, Civiltà Scomparse, Misteri archeologici”, articolo di Adriano Forgione, Olmechi, Sacerdoti e Nagual, riv. cit., pag. 26.
25 Cfr. ibidem.
26 Cfr. Adrian Gilbert- Maurice Cotterell, op. cit., pag 241.
27 Parleremo meglio di ciò a proposito della mitologia.
28 Peter Schmidt-Mercedes de la Garza-Enrique Nalda, op. cit., pag. 235.
29 David Webster, op. cit., pag. 143.

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