lunedì 18 giugno 2012

L'enciclopedia francese e d'Alembert


L'Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri venne diretta da Diderot e d'Alembert, ed ebbe un numero vastissimo di collaboratori. Tra essi, i più importanti furono Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Quesnay, Turgot. Molte furono, inoltre, le collaborazioni di scienziati ed ecclesiastici.
I primi due volumi uscirono nel 1751 – 1752. Notevoli furono le critiche mosse contro l'opera da parte degli ambienti conservatori, che accusarono l'Enciclopedia di “distruggere l'autorità regia, diffondere atteggiamenti di indipendenza e ribellione, e, sotto termini oscuri ed equivoci, gettar le basi dell'errore, della corruzione dei costumi, dell'irreligione e dell'incredulità”.
Nonostante le forti opposizione, l'opera continuò ad essere pubblicata. Grazie soprattutto ai forti appoggi degli ambienti di corte. Con la pubblicazione del VII volume giunse, però, la condanna papale (1759).
D'Alembert, alla luce di questi fatti, decise di ritirarsi dalla direzione, che rimase in mano soltanto a Diderot. Questi riuscì a portare a compimento l'opera, che venne definitivamente conclusa nel 1772. Presto verrà ristampata e tradotta in varie lingue.
Importante è Il discorso preliminare dell'Enciclopedia scritto da d'Alembert. In esso, infatti, oltre ad essere tracciate gli scopi dell'opera, vengono sintetizzate i temi centrali dell'illuminismo.
Il discorso è diviso in due grandi parti. Nella prima viene chiarita la nozione di “enciclopedia”, cioè di compendio di tutte le conoscenze umane; nella seconda vengono spiegate le basi di ogni scienza. Inoltre, viene data una storia del progresso della cultura, della filosofia, delle tecniche e delle scienze. D'Alembert, rifacendosi alla filosofia di Locke, distingue tra conoscenze dirette e conoscenze riflesse. Dirette sono quelle conoscenze che riceviamo immediatamente, senza alcun intervento della volontà; riflesse sono quelle conoscenze che lo spirito riceve rielaborando quelle dirette, unificandole e combinandole. Le conoscenze dirette sono tutte quelle che riceviamo dai sensi. Conseguentemente, tutte le nostre idee provengono dalle sensazioni. Le sensazioni ci rendono consapevoli sia della nostra esistenza che di quella degli oggetti esterni. L'oggetto del mondo esterno che più attira la nostra attenzione è il nostro stesso corpo, che noi cerchiamo di preservare dal dolore e dalla distruzione. La scoperta del nostro corpo ci immette nella consapevolezza dell'esistenza di altri esseri simili a noi, altri uomini, con gli stessi bisogni nostri e con le stesse esigenze di soddisfarle. Per l'uomo, quindi, diviene molto utile unirsi coi propri simili per aiutarsi in maniera reciproca e per più facilmente combattere ciò che è nocivo. Una società, però, per formarsi ha bisogno del linguaggio, e cioè dell'invenzione dei segni. Ed infatti, solo tramite questi si possono comunicare le idee. In una società, il più forte tende a voler prevaricare il più debole. Come reazione a ciò nasce il concetto di giusto e di ingiusto, e quindi il giudizio morale. È chiaro, pertanto, che per d'Alembert anche la morale ha una genesi empirica. La necessità di preservare il proprio corpo fa nascere tutte quelle tecniche, quali la medicina, l'agricoltura, la pastorizia e tutte le altre arti, per dominare le forze della natura. Sempre al fine della propria utilità, l'uomo costruisce una fisica. Nella costruzione della fisica, d'Alembert ha come suo maestro Newton. In altri termini, d'Alembert applica le idee semplici di Locke alle definizioni dei principi della fisica di Newton, quali quella di massa, moto, impenetrabilità, ecc. Su queste definizioni, afferma d'Alembert, non bisogna soffermarsi più di tanto, perché si cadrebbe nella metafisica. Bisogna soltanto studiarli ed applicarli con il rigoroso metodo quantitativo della matematica. Alla stessa maniera, d'Alembert dalla geometria deduce l'aritmetica o scienza dei numeri. Da quest'ultima deduce l'algebra o scienza delle grandezze. Da questa la meccanica, l'astronomia; sino a giungere alla logica, alla grammatica, alla retorica, alla cronologia, alla geografia, alla politica.
Tutti questi saperi, quindi, nascono dalla combinazione delle idee semplici. Questo sapere prende il nome di filosofia. Da questi saperi nascono le conoscenze riflesse, e cioè quelle idee che noi ci facciamo immaginando, e da cui nascono le arti belle, ad imitazione della natura.
Giunto a questo punto, d'Alembert passa ad esaminare l'organizzazione espositiva dell'opera. In questa operazione d'Alembert riprende la classificazione baconiana tracciata nel De augmentis scientiarum. Le poche differenze che si possono rilevare sono il mutamento dell'ordine delle tre facoltà della mente umana. Ed infatti, per gli enciclopedisti le discipline vanno classificate in rapporto alle facoltà della mente: alla memoria si riferisce la storia, alla ragione si riferisce la filosofia, all'immaginazione si riferiscono le belle arti. D'Alembert, alla stessa maniera di Bacone, considera tutte le scienze di pari dignità. Ciò porta alla rivalutazione delle scienze meccaniche e delle tecniche. L'Encliclopedia, infatti, impiega ben undici dei suoi volumi in illustrazioni di disegni di macchine, di tecniche produttive, di officine, ecc.
Sempre nel Discorso viene chiarito che i filosofi a cui gli illuministi si rifanno nella stesura dell'Enciclopedia sono Bacone, fondatore della scienza moderna; Locke, che ridusse la metafisica a fisica sperimentale dell'anima; a Newton, Leibniz e Cartesio, da cui si prendono le distanze per quegli aspetti metafisici del suo sistema.

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